Il nostro fondatore
Grande e complessa figura del cattolicesimo dell’Ottocento, che solo recentemente è stato riscoperto e rivalutato dalla Chiesa, che ha autorizzato l’apertura della causa di beatificazione nel febbraio 1994.
Antonio Rosmini nacque a Rovereto (Trento) il 24 marzo 1797 da Pier Modesto, patrizio del Sacro Romano Impero e da Giovanna dei Conti Formenti di Biascesa sul Garda; trascorse la fanciullezza in un ambiente impregnato di virtù patriarcali e religiosità, governato dalla madre, donna intelligente e amorosa che seppe imprimere nel fanciullo quei semi di bontà e religiosità, che più tardi daranno frutto di autentico umanesimo cristiano.
Da giovane si manifesta subito in lui una serietà morale e un’apertura agli interessi culturali con spiccata inclinazione alla filosofia, già nel 1813 a 16 anni rivela l’inizio di una vera aspirazione ascetica, pur essendo aperto a tutti gli interessi culturali e conoscenze in tutti i campi, scopre che non vi è altra sapienza che in Dio. Decide di farsi sacerdote vincendo le resistenze dei familiari, che vedevano in lui l’erede del casato, nel 1816 è all’Università di Padova, dedicandosi come studente ad ogni specie di ricerca filosofica, scientifica, storica e letteraria, qui conobbe Niccolò Tommaseo che gli resterà amico per tutta la vita, come più tardi nel 1826 avverrà a Milano con Alessandro Manzoni.
Viene ordinato sacerdote il 21 aprile 1821, poi trascorrerà un periodo di raccoglimento e riflessione a Rovereto, dove nel frattempo nel 1820 era morto il padre e diventando erede di tutto il patrimonio familiare, che comporterà per lui una delle croci più grandi della sua vita, il rapporto non facile con il fratello Giuseppe; mentre l’altra sorella Gioseffa Margarita, anima sensibile come la sua, si farà suora nelle Figlie della Carità, Istituto fondato da santa Maddalena di Canossa († 1835). Antonio Rosmini, spirito straordinariamente ricco di doti, di tendenze universali, d’ingegno vigorosissimo, impostò la sua vita e il suo agire su un principio ascetico: da parte sua vorrà soltanto attendere alla purificazione dell’anima dal male e all’acquisto dell’amore o carità di Dio e del prossimo, in cui consiste la perfezione.
Quanto al resto - studio, attività, lavoro, condizione di vita - non sceglierà da sé, questa o quella attività, fosse pure un’opera di carità, ma lascerà a Dio di indicagliela attraverso le circostanze esteriori “esaminate al lume della ragione e della fede”.
È il principio cosiddetto di “passività” o di “indifferenza” che comporta una costante disposizione interiore a volere unicamente e totalmente ciò che vuole Dio. La “passività” che Rosmini s’impone è rigida disciplina, consacrazione totale, immolazione al bene nel modo che Dio avrebbe voluto per lui, senza condizioni né riserve. Nel 1821 giovane sacerdote gli viene da s. Maddalena di Canossa, l’invito a dar vita ad un Istituto religioso, ma egli non si sente pronto e solo nel 1827 a Milano, capirà che è giunto il momento. Il 18 febbraio 1828 egli è solo sul Monte Calvario di Domodossola a preparare le Costituzioni del nascente Istituto e attende che Dio gli mandi compagni, che arriveranno man mano nel tempo; l’Opera si chiamerà “Istituto della Carità” che avrà come base il professare la carità ‘universale’, ossia la carità spirituale, intellettuale e corporale, per il bene del prossimo ed ai religiosi si chiede di essere disposti a qualunque opera venga loro affidata.
Nel 1828 papa Pio VIII approva l’Istituzione, incoraggiandolo a dare precedenza allo scrivere, in quel tempo di gran bisogno di scrittori, per influire utilmente sulle coscienze scosse dalle teorie scaturite dalla Rivoluzione Francese, dall’ordine imposto da Napoleone Bonaparte, dalla Restaurazione, dal clima anticlericale imperante. Già dal 1823 egli però era nel mirino dell’Austria che lo tenne sotto censura e sospetto, che lo accompagneranno per tutta la vita, perché a Rovereto pronunciando un discorso per il defunto papa Pio VII (1800-1823), dichiarò il suo Amore per l’Italia; per gli austriaci non era altro che un infido ‘carbonaro’. Nel 1830 pubblicò la sua prima grande opera filosofica “Nuovo saggio sull’origine delle idee”; mentre i confratelli crescono di numero guidati personalmente da Antonio Rosmini, egli nel 1832 dà inizio alla Congregazione delle ‘Suore della Provvidenza’ con le stesse basi ascetiche dell’Istituto della Carità; essi vengono richiesti ormai da molte scuole, iniziando così l’opera dei “maestri” e “maestre” rosminiane.
Viene nominato anche parroco a Rovereto, aprendo una Casa anche a Trento, ma per l’aperta ostilità del governo austriaco verso di lui, si dovranno interrompere nel 1835, rendendo necessario lo spostarsi a Milano di Rosmini per allentare la tensione. In compenso i suoi religiosi partono per le missioni in Inghilterra, cooperando alla restaurazione della gerarchia cattolica, da lì passano in Irlanda; lo spirito dell’Istituto di sua natura “universale”, fa sì che i religiosi si adattano sapientemente, da lì partiranno poi per gli Stati Uniti e Nuova Zelanda; oggi sono presenti compreso le suore rosminiane in Venezuela, Tanzania ed India. Le migliaia di lettere scritte da Rosmini con i tanti volumi delle sue opere filosofiche e teologiche, costituiscono una bibliografia davvero sterminata. Nel 1838 papa Gregorio XVI approva le Congregazioni nominando Antonio Rosmini come Superiore Generale, mentre continuava la sua opera di scrittore fecondo, con un fascino del pensatore, che tendeva a conciliare il pensiero tradizionale con le conquiste del pensiero moderno.
Nel 1839 pubblica “Nuovo saggio” e il “Trattato della coscienza morale”, fondamenti del suo pensiero filosofico e cioè l’affermazione che l’intelligenza è illuminata dalla luce dell’essere - o essere ideale - che è la luce della verità, per cui vi è nell’uomo qualcosa di “divino”. Cominciarono per lui le prime contestazioni degli avversari al suo pensiero, che accusavano le sue dottrine come contrarie alla fede e alla morale.
La polemica dopo un suo personale intervento, proseguì con la difesa da parte dei suoi amici e discepoli; dovette intervenire il papa stesso imponendo il silenzio a Rosmini ed al Superiore dei Gesuiti, suo contraddittore. Il Manzoni che da laico lo difendeva disse di lui: “una delle cinque o sei più grandi intelligenze, che l’umanità aveva prodotto a distanza di secoli”. Il governo piemontese di Carlo Alberto, in un momento difficile della prima guerra d’indipendenza, decise di inviare come plenipotenziario a Roma dal papa, proprio il Rosmini di cui era noto il prestigio.
Il papa Pio IX, nell’agosto 1848, l’accolse con affetto e stima, annunciandogli la porpora cardinalizia per il dicembre successivo, ma a novembre scoppia la rivoluzione e Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta, chiedendo a Rosmini di seguirlo. Con l’ostilità sempre presente dell’Austria, però si crea un clima sfavorevole per lui, tanto più che poco prima era stato pubblicato il suo libro “Delle cinque piaghe della santa Chiesa”, grande esposizione in veste e pensiero sacerdotale e frutto di un ardente amore per la Chiesa, sui pericoli che minacciavano l’unità e la libertà della Chiesa e con coraggio denuncia queste ‘piaghe’ e ne indica i rimedi; ma il libro allora venne letto con ben altra visuale. Il governo borbonico di Napoli, non lo vuole sulle sue terre, le udienze al papa gli vengono ostacolate, il papa stesso preoccupato per le ombre che si addensano sulle sue dottrine, nel 1849 lo esorta per iscritto a “riflettere, modificare, correggere o ritrattare le opere stampate”. Ad ogni modo nonostante la sua disponibilità a ‘correggere’, due suoi libri vennero messi all’Indice nel giugno 1849 con suo grande dolore. In quell’oscuro periodo, al seguito del papa a Napoli, scrisse l’ “Introduzione del Vangelo secondo Giovanni commentata”, pagine di alta teologia spirituale e di indubbia testimonianza di intima esperienza mistica. In quella situazione di dubbio dottrinario e con due libri condannati, non poteva stare più vicino al papa, che lo lasciò libero di rientrare a Stresa nel 1849, per raggiungere i suoi confratelli, Rosmini ubbidì, sempre più convinto che era tutta opera della Provvidenza.
Nel suo ritiro di Stresa, continuò a guidare le due Congregazioni e scrivendo la sua opera più alta la “Teosofia”, ma i suoi avversari ripresero ad attaccarlo, finendo per provocare da parte di Pio IX un esame approfondito di tutte le opere di Rosmini; l’esame durò quattro anni con l’angoscia dello scrittore non per sé, ma per il danno che venivano a subire le due Congregazioni, con il loro fondatore sotto un processo di cui parlava il mondo.
L’esame svoltosi presso la Congregazione dell’Indice finì nel 1854, alla seduta finale partecipò lo stesso papa, che dopo la sentenza definitiva di assoluzione, esclamò: “Sia lodato Iddio, che manda di quando in quando di questi uomini per il bene della Chiesa”. Ma ormai il grande filosofo e fondatore è ormai prossimo alla fine della sua vita di profeta disarmato e ubbidiente; la malattia al fegato che l’aveva accompagnato per tutta la vita, si acutizzò procurandogli mesi di malattia che consumeranno il suo fisico tra dolori senza sosta e con l’elevarsi dello spirito che si affina nella sofferenza. Al suo capezzale si alternano, amici, ammiratori, discepoli, persone che vogliono esternargli l’affetto, la stima, la gratitudine, chiedendo da lui ancora una benedizione, una buona parola; lo stesso Alessandro Manzoni, benché ammalato, corre dall’amico piangendo, incredulo che possa spegnersi sulla terra una intelligenza come quella di Rosmini. Morì il 1° luglio 1855, a 58 anni, le sue spoglie mortali riposano in una cripta della chiesa del Ss. Crocifisso annessa al noviziato dell’Istituto di Stresa (oggi in provincia di Verbania).
Ma il suo pensiero scritto non ebbe ancora pace; nel 1888 vengono esaminate le ultime due opere, non ancora esistenti nella precedente inchiesta e vengono condannate dal Sant’Uffizio, con 40 proposizioni dei suoi scritti precedenti, perché non sembravano consoni alla verità cattolica. È trascorso più di un secolo da allora e gli ampi e numerosi studi sulla dottrina rosminiana, hanno dimostrato la loro armonia con la verità cattolica; quello che un secolo fa poteva non essere chiaro, alla luce dell’apertura verificatasi con il Concilio Vaticano II, di cui Rosmini fu un anticipatore lungimirante in alcune sue intuizioni, sulle divisioni all’interno della Chiesa riguardanti la vita quotidiana dei fedeli e dei loro pastori; con le ricerche e gli approfondimenti, è stato ampiamente chiarito.Papa Benedetto XVI lo ha dichiarato "venerabile" il 26 giugno 2006.
La Causa di beatificazione di Antonio Rosmini
La santa Sede ha stabilito che la celebrazione del Rito di Beatificazione del Venerabile Servo di Dio Antonio Rosmini abbia luogo nella Diocesi di Novara, Domenica 18 novembre 2007.
Rappresentante del Santo Padre Benedetto XVI sarà il Cardinale Josè Saraiva Martins.
Per le informazioni relative alla celebrazione, agli eventi collegati, per l'organizzazione e le modalità di partecipazione, a partire dal 1° settembre sarà possibile consultare il sito: www.beatificazionerosmini.it
Il 1° giugno 2007 il Santo Padre Benedetto XVI aveva autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo della guarigione di Suor Ludovica Noè attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Antonio Rosmini, Sacerdote Fondatore dell'Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza.Il 26 giugno 2006 era stato pubblicato il Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio Antonio Rosmini: in esso si riconosce che egli ha espresso costantemente, nella vita e negli scritti, virtù pienamente evangeliche, in grado eroico e perciò è Venerabile.
Giunge così a termine il lungo percorso di alterne, complesse e spesso dolorose vicende che dalla morte nel 1855 lo hanno portato alla soglia della beatificazione. Egli ha lasciato un esempio luminosissimo di perfezione morale, sacerdotale, pubblica e privata sul quale vale la pena di riflettere e pregare, in attesa della celebrazione solenne del Rito di Beatificazione.
Padre Claudio Massimiliano Papa I.C.Postulatore Generale Rosminiani
e-mail: postulatore.rm@rosmini.it